Torna domenica 6 luglio 2025 l’annuale biciclettata sui luoghi simbolo della Resistenza sul nostro territorio. In bicicletta, si partirà da diverse località in questo percorso commemorativo e si arriverà poi tutti alla cascina Leopoldina di Cuggiono per ricordare i partigiani arrestati e fucilati il 7 luglio 1944. 

A seguire, un pranzo al sacco che condivideremo nel parco di villa Annoni.
Una bella occasione di memoria e di amicizia.

Nel 1944, una sera d’ottobre, cinque giovani partigiani di Rho furono prelevati, durante un rastrellamento,
senza alcun apparente motivo. Cinque, non quattro, come la maggior parte delle fonti erroneamente
riporta. I loro nomi erano Chiminello, Belloni, Negri, Perfetti e Zucca, tutti sui vent’anni, accusati di
sabotaggio e di propaganda sovversiva. Dalle case vicine al luogo della loro detenzione, gli abitanti
potevano udire le urla raccapriccianti che squarciavano il silenzio. A nulla valsero gli interventi dei Padri
Oblati; anzi, questa iniziativa spinse gli aguzzini a far sparire le prove delle loro terribili sevizie: in una
parola, ad eliminare i corpi dei patrioti.
La sera stessa del 13 ottobre, pertanto, i cinque vennero portati a Legnano per un interrogatorio; in
seguito, verso le ore 21, una camionetta li trasportò sull’alzaia del Naviglio Grande, tra Robecchetto e
Cuggiono, in località Padregnana. Qui una raffica di mitra spense le loro giovani vite. Non soddisfatti
dell’esecuzione, gli aguzzini gettarono i cadaveri nelle acque del Naviglio, nel tentativo di eliminare ogni
prova. A chi chiedeva delucidazione sulla sorte dei prigionieri, veniva risposto che erano stati trasportati in
Germania. Ma il giorno seguente si fece la macabra scoperta: i corpi furono rinvenuti da alcuni barcaioli a
ridosso dei barconi adibiti al trasporto della sabbia. Solo uno dei cinque, fingendosi morto come i
compagni, ebbe salva la vita: si chiamava Belloni.
Il mattino del 14 ottobre le salme delle quattro vittime furono traslate nella camera mortuaria del cimitero di
Cuggiono. Pinetto Spezia, diretto testimone degli eventi, racconta di essersi avviato verso il cimitero con il
compagno Peppino Miriani, nel tentativo di riconoscere i cadaveri. Non si sapeva, infatti, chi fossero, né a
quale formazione patriottica appartenessero. La presenza di automobili tedesche, però, spinse i partigiani
a rimandare la visita al pomeriggio; dal momento che la situazione era immutata, decisero di compiere un
largo giro dietro alle mura di cinta del cimitero e di attendere lì il calare dell’oscurità. Dalla loro posizione i due potevano udire le voci strazianti dei parenti dei caduti; in particolare, Pinetto Spezia ricorda l’urlo
disperato di una donna: “Alvaro, ti hanno crocifisso come Gesù Cristo!”. Giunta la notte, quando il cimitero era deserto, i partigiani penetrarono nella camera mortuaria, accesero le
candele che avevano portato con sé e, di colpo, apparvero loro i corpi dei quattro ragazzi. Non li
conoscevano, ma capirono immediatamente chi era Alvaro: aveva i capelli rasati a zero e la mano sinistra
ed il collo trafitti da proiettili. La commozione dei due fu immensa e, per usare le parole dello stesso
Spezia, “ci sembrò di profanare un sacrario”. Dopo una breve preghiera, salutarono i caduti, facendo loro
una tenera carezza, ed uscirono nell’oscurità della notte cuggionese.
Solo il giorno seguente scoprirono da Enrico “Sarto”, padre del partigiano Gianfranco Crespi, l’identità dei
quattro patrioti uccisi.

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