Che senso ha andare a Palermo per la quinta volta?

Bisogna fare appello alla parola memoria, alla molteplicità di significati che questo vocabolo esprime. Non vogliamo certo addentrarci nell’etimologia, sarebbe un peccato di presunzione. Qui ci limitiamo alla dinamicità del concetto di questa parola. Vivere la storia per farne memoria attiva è un dovere, almeno quando le date dei fatti non sono così lontane. In questo caso, l’incontro tra educatori e ragazzi ha permesso, al nostro gruppo, almeno sul versante del racconto, una strana specie di contemporaneità generazionale.

Cosa stiamo dicendo? Gli educatori quei fatti li hanno vissuti, “probabilmente” alcuni di loro hanno ancora in mente cosa stessero facendo nel momento in cui quella domenica di luglio esplose la bomba in via D’Amelio, un minuto prima delle 17. Solo cinquantasette giorni prima, in un sabato di maggio, era saltato in aria il giudice Falcone, un collega del dottor Borsellino, insieme costituivano una sorta di monade della legalità, qualcosa che non prevedeva la divisibilità. Per dividerli bisognava ammazzarli, ma questa è un’altra storia o, meglio, è una tra le parti occulte della storia.

Dovessimo dirla da ragazzi è come se Ronaldo e Messi giocassero nella stessa squadra ed entrambi, nel giro di pochi minuti, venissero falciati da un loro compagno.

Si, proprio così, non da un avversario ma da un compagno che, approfittando di un paio di azioni di gioco confuse, ha estromesso dalla partita i propri compagni di squadra, i migliori, quelli che avrebbero fatto vincere la coppa.

Evidentemente la stessa persona che aveva allestito un grande gruppo, si era poi deciso, per imprecisati motivi, a sabotare la vittoria. Beh, scusate, Falcone e Borsellino avevano vinto il maxiprocesso, dovevano essere protetti e invece furono esposti alla furia omicida del mafioso di turno. L’unica carreggiata, per altro stretta, che si usa per percorrere via D’Amelio doveva essere sgombra da auto parcheggiate, ma ciò non avvenne nonostante le numerose sollecitazioni della scorta.

E così arriviamo alle 16,59 di quella domenica: vi promettiamo un reportage dalla via dell’attentato, con appendice dal castello di Utveggio, la struttura dalla quale lo stesso giudice diceva di essere spiato dai servizi segreti. Ecco perché bisogna andare ancora a Palermo in via d’Amelio: per non far morire la memoria.

Il Centro di Protagonismo Giovanile.